smarties. - Patatracchini
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smarties.

Io la prima volta che t’ho vista, io un cazzo di niente. Tipico mio. Eri veramente insignificante sotto la pensilina della 60. Insignificante. Dopo nei giorni dopo quello della prima volta che t’ho vista, io ancora niente. Veramente niente. Manco ti riconoscevo quando t’incrociavo. Tipico mio. Infatti tu fino a questo punto della storia non ci sei. Va’ via. Ci sono solo io, che sono triste, e sono tutto che non mi capisco. È marzo e cammino per cercare di capirmi un poco. Vado a prendere la 60. Scusa, ciao. Che vuole questa? Mi passa un portafogli, che è il mio. T’è caduto. Poi sorride. E poi sorride. Sorride. E poi se ne va. Io che m’era caduto il portafogli l’avevo capito perché è tipico mio, ma quel sorriso là no. E sono rimasto senza le parole con quella faccia tipica mia che è la faccia di uno che non sta capendo. E la 60 era passata e tu eri salita. Tu sì, io no. Tipico mio. Hai visto? A ‘sto punto della storia sei diventata tu. Dal quel sorriso là, sei diventata tu. Il giorno dopo sono arrivato alla pensilina e t’ho salutata e t’ho ringraziata. Il giorno dopo: c’ho messo 24 ore a reagire. Tipico mio. Tu leggevi il librino. C’avevi freddo. E m’è venuto di parlarti e d’abbracciarti per vedere se mi facevi un’altra volta quel sorriso là. Non me l’hai fatto. Pace. Siamo saliti assieme sulla 60. Con la 60 io ci vado a lavorare. Ma mentre salivo mi sono reso conto ch’era domenica e che io non ci dovevo andare a lavorare. Tipico mio pure questo. La questione che sono talmente rimbambito da essere uscito per andare a lavorare di domenica deve avermi distratto per un bel pezzo perché, in effetti, quando mi sono ripigliato, tu mi avevi dato un colpetto sulla spalla. Io ho guardato prima la tua mano, poi dopo ho alzato lo sguardo e c’eri tu e c’era quel sorriso là, che tu quando fai quel sorriso là a uno gli sembra d’averci di colpo 6 anni e di diventare l’essere più indifeso e potente del mondo. Tu quando fai quel sorriso là a uno gli sembra d’averci di colpo tutta la paura del mondo e tutta l’immaginazione del mondo e dopo tutta la voglia del mondo, dio tutta, di fare qualsiasi cazzo di cosa. E ho allora sorriso pure io. E t’ho detto se t’andava di bere una birra. Tipico mio. E tu m’hai detto di sì, che però magari ci potevamo almeno presentare. A breve, dunque, avresti detto il tuo nome e il tuo nome, già lo so, io non riuscirò a dirlo mai. Tipico mio. Ci metterò dei secoli. Quando conosco qualcuno che mi piace, prima di riuscire a dire il suo nome, ci metto i secoli. All’inizio mi arrabatto con suoni gutturali di varie tipologie, giusto per fare un po’ di rumore e attirare l’attenzione. Certe volte arrivo anche a battere le mani pur di farmi notare senza essere costretto a dire quella cosa che è il nome di una persona che mi piace. Dopo piano piano trovo altri modi, ma è una cosa lunga: sarà un incubo scoprire il tuo nome. Ma tu questa cosa non potevi saperla. Allora mi hai detto il tuo nome. Io ho detto Francesco. Per evitare di dire il tuo nome di persona che mi piace – adesso che era impossibile tornare indietro, ché ormai il tuo nome lo sapevo – ho cominciato a storpiarlo in tutti i modi della terra. Tipico mio. Scusami, Smarties, ma poi dopo durante la birra io non mi tenevo più, Smarties, e allora te l’ho detto, Smarties. Ti ho detto che ti pensavo, Smarties, e t’ho detto che mi piacevi forte, Smarties, e t’ho detto pure che quel tuo sorriso là m’aveva sconvolto. Che io prima del sorriso, Smarties, ero triste. E dopo non ero triste più. Hai visto? A ‘sto punto della storia tu, a forza di storpiare, diventi Smarties. E Smarties è qua di fronte che sorride e sorride, e sorride da andarsene a male per sempre. Smarties con gli occhi pieni di paesi dei balocchi. Ecco, no, Smarties sorride con gli occhi strapieni della parte indicibile dei segreti. Ecco, no, Smarties sorride con gli occhi che dentro c’hanno la neve che aspettavo alla finestra da bambino, ma qui lei ride e non devi aspettare un cazzo di niente, perché qua la neve scende lenta e meravigliosa per tutto il tempo che la guardi. Le prendo la mano. Camminiamo, e io la guardo tutta con sua la gonnina azzurrina e la maglina bianca e se non la bacio, dio, se non la bacio ora muoio. Se non ti bacio subito, Smarties, io ora muoio. Tipico mio. E io – basta – siam vicini a un albero. Mi giro. La guardo. La bacio. Pianissimo. Sto baciando Smarties. E inizio a capire. Io che non ho mai capito niente, inizio a capire. Proprietà commutativa: capìta. Geometria euclidea: capìta. Principio d’indeterminazione: ovvio. Salto quantico: una sciocchezza. E non la finisco più di capire. Ho un’erezione. Smarties dopo dorme. La guardo. Apre gli occhi. Ci guardiamo. La bacio. A un momento, però, lascio le sue labbra. E lo dico. Marta. Marta. E questo veramente, ragazzi, non è tipico mio.

(Illustrazione di Fausto Montanari)